Perché lo scultore spagnolo Alberto Sánchez visse e morì in Urss?
La vita di Alberto Sánchez assomiglia a un romanzo d’avventura. Nacque a Toledo nel 1895 e fin dall’infanzia lavorò in una panetteria e poi in una forgia. Suo padre riteneva che il ragazzo dovesse diventare calzolaio, perché con un mestiere del genere te la cavi sempre, ma Alberto aveva ben altri sogni. Da artista fu un autodidatta: non studiò pittura né scultura, ma cercava sempre di trasferire sulla carta tutto ciò che vedeva.
Stabilitosi a Madrid, all’inizio degli anni Venti conobbe Luis Buñuel e Salvador Dalí e creò le scenografie per le rappresentazioni del Teatro La Barraca di Federico García Lorca. Tuttavia, la prima esperienza non ebbe successo: le scenografie si rivelarono così appariscenti che all’inizio volevano cassarle, perché si temeva che potessero mettere in ombra gli attori.
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Sánchez instaurò rapporti amichevoli con Lorca: lo scultore fu quasi l’ultimo a vedere il poeta alla vigilia della sua fatidica partenza per Granada. Nell’agosto del 1936 Lorca fu fucilato dai franchisti.
Nel 1937, scolpì la scultura “El pueblo español tiene un camino que conduce a una estrella” (“Il popolo spagnolo ha un sentiero che conduce a una stella”) per il padiglione spagnolo all’Esposizione Internazionale di Parigi: la stele di 12 metri fu installata davanti all’ingresso. All’interno, i visitatori si ritrovavano di fronte all’opera di un altro grande spagnolo: “Guernica” di Pablo Picasso. Gli artisti trovarono rapidamente un linguaggio comune: Picasso suggerì a Sánchez di non verniciare la scultura, lasciandola del colore naturale, ma lui tirò dritto per la sua strada. Oggi una replica, alta 18 metri e realizzata da Jorge Ballester nel 2001, si trova fuori dall’ingresso del Museo Reina Sofía di Madrid.
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“L’arte del portacipria e del pompon”
Alla fine degli anni Trenta la Spagna era scossa dalla Guerra civile. Si svolgevano feroci battaglie per Madrid, gli attacchi aerei sulla città causavano la morte dei suoi abitanti e trasformavano le case in macerie. Uno dei bombardamenti distrusse il laboratorio madrileno dello scultore, dopo di che decise di lasciare il Paese. Insieme alla moglie doveva scegliere dove andare: se in Gran Bretagna, dove poteva studiare l’arte dell’affresco, oppure in Urss, dove accoglievano gli spagnoli in fuga dagli orrori della guerra. Alla fine il dado fu tratto: la famiglia Sánchez partì per Leningrado, salpando in nave da Le Havre, in Francia.
Stabilitosi in Urss, Sánchez dette lezioni di disegno ai figli degli emigrati spagnoli e iniziò a collaborare con i teatri. E già nel 1938 curò le scenografie per lo spettacolo “Il segreto” presso il Teatro di varietà e miniatura di Mosca appena inaugurato.
Il nipote dello scultore, Alberto Sánchez Gadaybura, raccontava che lui trattava le opere liriche e i balletti classici con leggera ironia, definendoli “l’arte del portacipria e del pompon”, ma era molto appassionato del teatro di prosa. Particolarmente impressionante si rivelò il tandem con il Teatro Romen di Mosca, simbolo della cultura rom in Russia. Sánchez lavorò alle commedie “La calzolaia prodigiosa” e “Nozze di sangue” basate sulle opere di Lorca, di cui era amico. Il regista delle produzioni era un altro spagnolo, Ángel Gutiérrez. Per il teatro Stanislavskij, realizzò invece le scenografie per lo spettacolo basato su una delle opere teatrali più penetranti di Lorca, “La casa di Bernarda Alba”.
Durante la Grande Guerra Patriottica, la famiglia Sánchez, insieme ad altri spagnoli (non essendo cittadini dell’Urss, non venivano arruolati e mandati al fronte) fu sfollata in Baschiria, nel villaggio di Kushnarenkovo. Anche durante i duri giorni della guerra, trovavano il modo di sostenersi a vicenda e di ricordare la loro patria. Ad esempio, organizzarono una corrida improvvisata: il ruolo del toro fu interpretato da un carrello e lo scultore stesso si trasformò in un alcalde che dava il via alla battaglia.
“Disegna la Regione di Mosca, ma gli viene la Castiglia”
Mentre viveva in Unione Sovietica, Sánchez non perse i contatti con i suoi amici spagnoli e francesi. Lo andarono a trovare Pablo Neruda e Dolores Ibárruri, Louis Aragon. Era anche amico dell’artista russo Pjotr Konchalovskij: questi parlava lo spagnolo e insegnò a Sánchez come lavorare con la pittura ad olio.
Nelle sue opere del periodo sovietico - paesaggi, sculture – si sentiva chiaramente il sapore spagnolo. Il regista Grigorij Kozintsev, con il quale Alberto Sánchez lavorò alle riprese del film “Don Chisciotte”, raccontava di aver visto in lui l’incarnazione vivente del protagonista di Cervantes: “Ha vissuto in Unione Sovietica per molti anni, ma lo stesso, se disegnava un paesaggio della Regione di Mosca, gli veniva la Castiglia. Aveva uno straordinario senso di visione nazionale.”
Pur avendo Sánchez trascorso metà della sua vita in Urss, si considerava sempre un artista spagnolo. Oggi le sue opere si possono vedere al Museo Reina Sofía di Madrid, dove sono accanto alle opere di Picasso, e in vari musei russi.
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